Il carme di Giovanni d'Adria per Antonio Panciera

Antonio Panciera vive in una tra le epoche più nervose della storia europea e certamente in quella più caotica e squallida dal punto di vista ecclesiastico. In quel momento sono passati solo settant’anni dall’esilio avignonese (1309-1376), ma la crisi per la Chiesa non è finita. Il Papato si divide, e per quarant’anni in Europa ci sono due papi: uno in Italia e uno in Francia.
Dell’autore del carme in lode di Panciera poco sappiamo: si chiamava Giovanni, era nativo di Adria o Padova, arcivescovo ad Ostuni dal 1386 al 1412; era stato famulus del patriarca Antonio Panciera. Secondo quanto ci è riferito da Bernardo Maria de Rubeis e Giovanni Domenico Mansi, a quel tempo vantava il titolo di «episcopus in universali ecclesia». Al sinodo pisano è nominato ambasciatore dal patriarca di Aquileia assieme al fratello di Antonio Panciera, Franceschino, Andrea Monticoli e probabilmente anche al canonico di Cividale.
Lo scopo del carme è di difendere il Patriarca, che era in una situazione difficile non solo per i debiti che doveva saldare ma anche per i sentimenti avversi che il popolo nutriva nei suoi confronti per aver ripreso possesso di un castello a Tolmino, e per essere riuscito a raggiungere una posizione così alta benché di umili origini.
Il carme è trasmesso da due manoscritti della biblioteca Guarneriana di San Daniele: il manoscritto 138 e il manoscritto 220.
L’edizione è basata sul testo trasmesso dal Guarneriano 138, che presenta lezioni migliori rispetto al Guarneriano 220. Varia talvolta, tra un manoscritto e l’altro, il modo di abbreviare le stesse parole.
Il carme, costituito da 120 versi esametrici, si apre con un’invocazione a Dio pronunciata dal Panciera, il quale, nella parte centrale del componimento, ripercorre le tappe più importanti della sua formazione e della sua carriera ecclesiastica. Il testo si conclude con l’invocazione alla Stella Maris (ovvero alla Vergine), affinché gli dia grazia di vedere il suo frutto, cioè Cristo, e di godere, dopo la morte, della luce del Paradiso.
Il carme è stato pubblicato dal canonico Ernesto Degani nel Codice diplomatico.


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